Qualche giorno fa un distributore iraniano ha visitato un’azienda del comparto legno-arredo con la quale collaboro. Persona colta, con una mentalità molto aperta (noi diremmo “occidentale”) e che parlava l’inglese da far invidia. La sua visita è durata quasi 2 giorni nel corso della quale ha voluto approfondire praticamente tutto. Ad un certo punto il nostro imprenditore ha chiesto se il fatto che il nostro prodotto fosse “made in Italy” era per lui importante. La risposta: ”… ho altri fornitori in Europa: Danimarca, Belgio, Spagna e Slovacchia. So di pagare di più, ma c’è più qualità. Importo anche dalla Cina, ma qui cerco prima il prezzo. Il valore aggiunto per me è il made in Europe più che il made in Italy”.
Se le cose stanno evolvendo in questa direzione, dovremmo fare qualche riflessione. Non basta produrre manufatti di qualità e design, bisogna anche saper essere molto competitivi nel prezzo. Nel nostro caso infatti il maggior competitor, che è danese, ha spostato la sua produzione nei paesi dell’est Europa. Anche questo è made in Europe, ma con costi decisamente diversi da quelli made in Italy.
Delocalizzare può avere un vantaggio in termini di costo se il prodotto o le lavorazioni sono consolidati e che quindi non necessitano di modifiche – ulteriori sviluppi. Trasmesso il know-how il tutto viene normalmente realizzato nei tempi e modi richiesti (scelto i Fornitori giusti).
Il valore aggiunto che ancora diamo è la disponibilità nel raccogliere le esigenze particolari del Cliente, studiando insieme e proponendo anche soluzioni alternative, rispettando scadenze anche molto strette / urgenti grazie alla flessibilità nel fronteggiare anche momenti di sovraccarico, garantendo la qualità richiesta – Il tutto grazie ad una cultura radicata improntata alla Customer Satisfaction
Grazie Giorgio del contributo; non posso che essere d’accordo con te.
Tuttavia devo dire che nel settore tessile ho la seguente esperienza. I clienti di tutto il mondo (che un tempo erano ottimi clienti) hanno continuato a cercare qui da noi la prototipazione, la produzione di piccoli lotti e la richiesta di produzioni in tempi veloci. Ma hanno portato altrove tutte le produzioni standard o comunque realizzabili in paesi a bassi costi di manod’opera. E tu sai meglio di me che un’azienda non può sopravvivere solo con le “briciole” (che tra l’altro sono costosissime).
La mia provocazione allora non vuole essere tanto un invito tout court a delocalizzare, ma a riflettere che la sola etichetta “made in Italy” non è più acquistabile a qualsiasi prezzo. Qualcosa va ripensato anche nelle scelte produttive (nelle pmi può anche solo essere una migliore organizzazione).